cioè: Ave Maria gratia piena, aùto Lucca, anderemo a Siena. E per tutta
la Toscana, dov’era alcuni fiorentino, l’aveano scritto per tutto».
Ma quella volta lo scherzo non portò bene; perché, dopo la morte di
Castruccio, avendo contrattato col Duca di Milano di avere in dominio la
città di Lucca per duecento cinquanta mila fiorini d’oro, ed avendone già
pagati cento mila, quando si credevano sicuri di averla, andarono i pisani,
vi posero l’assedio, e non ebbero né Lucca, né tanto meno Siena.
Fra i tanti usi introdotti tra noi a riguardo dell’Ave Maria, ne noterò
uno, a cui difficilmente verrebbe fatto di pensare, se non venisse detto. Ed
è quello di inserire l’Ave Maria negli atti notarili, come formula rogatoria,
per dare agli atti maggior garanzia e autenticità.
Ne riporto qui qualcuno, in breve, come esempio. Nel 1302 un certo
Lotto di Bonamico, del popolo di S. Martino La Palma, facendo testamen-
to, richiese al notaro Simone Serdini, che per ossequio alla Madonna, e
per maggior sicurezza che le sue ultime volontà sarebbero state eseguite,
vi scrivesse l’Ave Maria; come infatti fece, e scrisse l’Ave Maria tutta
intera: Ave Maria, gratia piena, Dominus tecum, benedicta Tu in mulie-
ribus, et benedictus fructus ventris tui. Sancta Maria, ora pro nobis.
Nel 1302, a Firenze, l’Ave Maria si diceva cosi.
Lo stesso nel 1323 [stile fiorentino, 1324], monna Gasdia degli Adimari,
del popolo di S. Reparata, nel suo testamento lasciò scritto di voler essere
sepolta nella chiesa dei Servi, vestita dell’abito loro, espressamente di-
chiarando, in quell’atto, che nessun altro testamento o codicillo dovesse
tenersi per valido, se non vi fosse stato scritto per intero l’Ave Maria.
Ancora: nel 1339, monna Ubertina degli Ubertini di Prato, ma dimo-
rante in Firenze, lasciò per testamento, che si facesse, dopo la sua morte,
una tavola alla Madonna, da porsi sopra l’altare di una cappella, nella
Chiesa dei Servi in Prato, con la sua immagine, dipinta ai piedi della Ma-
donna; e dichiarò che negli atti, che il notaro avrebbe fatto per lei, vi aves-
se dovuto scrivere «queste venerande parole: Ave Maria ecc.». E questo
Cristoforo de Predis, sec. XV, Biblioteca Reale di Torino.